C’era una volta un aquilotto nato su un’alta rupe in riva al mare e questa è la sua storia. Era nato in uno dei grandi nidi costruiti dalle aquile ben protetti dalle grotte e sotto un cielo immenso che curvava fino a unirsi al mare. Da lassù poteva vedere e udire tante cose: i pesci nella verde profondità del mare, il sole giallo e festoso che solo le aquile possono fissare senza accecare, le onde che hanno il movimento del cuore. Ma più di tutto lo incuriosiva uno strano nido che stava a ridosso della montagna: a volte ne usciva del fumo, la notte si illuminava di una luce calda e si riempiva di un dolce canto e,di giorno, ne usciva un piccolo uomo, quel piccolo uomo ero io..
Conoscevo le aquile e le leggende che si raccontano su di loro; amavoveder il loro possente volo e qualche volta avevo pensato che fossero angeli. La “Valle delle aquile”, così era chiamata la cima della grande rupe, era un luogo inaccessibile e pericoloso ma, giorno dopo giorno, avevo costruito il modo di raggiungerla, con chiodi, scalette e funi; volevo raggiungere il cielo lontano e celeste, sapere com’era da lassù. Fu necessario del tempo ma, infine, arrivai al grande nido e mi ritrovai appeso nel nulla vicino a due cuccioli di aquila, dalle bianche piume, che dondolavano pigolando sulle loro grandi zampe, così fragiliancora. Feci della mia maglietta un sacco e presi il più piccolo, lo infilai nel sacco e tornai in discesa, più veloce che potevo, verso il mare. “Ti chiamerò Kya, come il grido delle aquile” gli dissi euforico, sapevo che le aquile allevano un cucciolo soltanto ed ero un ragazzino in cerca di un amico.
Mi presi molta cura di Kya, lo nutrivo con il pesce che pescavo per entrambi, lo portavo con me sulla spalla oppure sul trespolo che gli avevo costruito, quando andavo per mare con la mia piccola barca:“Ho combattuto con le onde, Kya, quando il mare è in burrasca: so nuotare fin dove non arriva la luce e ho visto creature e piante colorate; da grande farò il marinaio e l’esploratore” gli raccontavo, tuffandomi con grandi spruzzi all’avventura, sapendo che l’avreiritrovato ad attendermi al mio ritorno; Kya infatti era legato a una catena; “non sa ancora volare” pensavo “legato non corre pericoli intanto che non sono con lui”. Mi sbagliavo. Un giorno, mentre eravamo in mare aperto, Kya dispiegò le ali, non mi ero accorto che fossero così grandi, in un solo colpo si sollevò, spaccò la catena e prese il volo e, in un attimo, fu invisibile; rimasi a fissare quel cielo in attesa del suo ritorno, non so per quanto tempo. Kya non tornava. Allora decisi di attenderlo sulla nostra spiaggia, sapevo che conosceva la strada che lo conduceva a casa.
Per giorni osservai il cielo grande come il mare, dipingendo nel vento un orizzonte di aquile e il loro volo, giocando su una tavolozza azzurra con la fantasia; immaginando di colorare il cielo, così come il sole colora le cose illuminando ogni luogo. Dopo molti giorni Kya lanciò il suo richiamo, più e più volte da molto lontano. Lo vidi planare sull’acqua sollevando con le ali schiuma e spruzzi, proprio come sapevo fare anch’io coi miei tuffi nel mare: tesi il braccio protetto dal mio guanto in risposta e Kya lo afferrò. “Sei tornato” sussurrai commosso, e misi intorno al suo collo la collana che avevo fatto per lui con una perla colorata: “La perla all’inizio è un granello di sabbia, Kya, Il granello viene ricoperto strato su stratofinché, un bel giorno, diventa un gioiello, un tesoro prezioso e difficile da raggiungere ma, la sua bellezza dona gioia a chi la indossa e a chi la guarda.” Gli dissi piano. “L’ho trovata nel mare. Con te andrà nel cielo più alto, sopra di noi, dipingendo nel vento colori che si amano a vicenda e volano liberi e selvaggi”.
Testo di Dania Ferrari
Illustrazioni di Claudio Cernuschi